La ciambella del buongiorno

Per iniziare il fine settimana con il piede giusto, qui ci vuole una bella ciambella!

Ho “rubato” questa ricetta da un’amica, e me ne sono subito innamorata.

Perché????

Ma perché sono riuscita a farla, e mi è pure venuta bene.

Io con i dolci sono sempre stata davvero negata, e quindi se IO riesco a fare un dolce, vuol dire che ce la potete fare tutti, giuro!

Iniziamo come sempre dagli INGREDIENTI:

200g di zucchero

3 uova

150g yogurt greco magro (io sono intollerante ai latticini quindi ho usato lo yogurt di soia alla banana, ed è venuta buonissima)

100 ml olio di semi

350 g farina

1 bustina di lievito pane angeli

Quando avete tutto INIZIAMO:

Mescolate tutti gli ingredienti nell’ordine in cui li ho scritti, mettete l’impasto ottenuto in una forma con il buco, e infornate per  45/50 min a 175 gradi.

Adesso avete capito perché mi è venuta bene?!

E’ facilissimo no?!

E poi devo confessarvi che ho avuto un ottimo aiutante!

A casa avevamo anche delle gocciole di cioccolato avanzate da un altro dolce, e quindi le abbiamo buttate dentro l’impasto!

Direi che, senza esagerare, per evitare danni, si può far lavorare un po’ la fantasia, e si possono quindi aggiungere o cambiare alcuni ingredienti!

Buon divertimento!

Adesso vi lascio che abbiamo ancora un paio di fette da pucciare nel latte!

Besos

Barbara

Il mio super aiutante in fase "amalgama ingredienti"

Il mio super aiutante in fase “amalgama ingredienti”

Philadelphia, salmone e zucchine: la torta salata per tutti

 

Un paio di sere fa avevo a cena due amiche e i loro figli, che assieme al mio, facevano tre giovincelli di 7, 13 e 15 anni.

Quando hai 3 giovincelli a cena ci pensi bene a cosa cucinare.

Giusto per investire bene il tuo tempo, evitando di passare le ore a preparare fantastici piatti che la metà degli ospiti non mangerà.

Dopo ore e ore di riflessioni (ovviamente scherzo!) alla fine ho deciso: avrei fatto una bella torta salata, un risotto alla milanese, e branzino al sale con le patate.

Ero convinta che il menù sarebbe piaciuto a tutti, grandi e piccini, e così è stato.

Certo che col branzino come secondo, non potevo fare la mia solita torta salata, il mio cavallo di battaglia!

Il mio cavallo di battaglia è fatto anche col prosciutto cotto, e io di solito, se nel menù metto il pesce, allora faccio tutti i piatti a base di pesce, o perlomeno non uso carne.

Non avevo mai fatto una torta salata col pesce, e nel frigo avevo giusto giusto un bel pezzo di salmone crudo che mi era avanzato dalla tartare del giorno prima.

Ho cercato su internet, et voilà, trovato: una bella torta salata con salmone, zucchine e philadelphia!

Avevo tutto, e non dovevo neanche andare di nuovo a fare la spesa: bingo!

Non so a voi, ma a me, quando ho una cena, capita spesso di dover tornare a fare la spesa per colpa di qualche idea dell’ultimo momento, hihi.

La torta ha avuto un gran successo, e hanno fatto fuori pure le briciole, olè!

L’hanno “spazzolata” talmente velocemente che non ho avuto neanche il tempo di fare una foto della torta finita.

Partiamo come sempre dagli INGREDIENTI:

una confezione di pasta sfoglia di quelle pronte (tonda o rettangolare, a seconda della teglia che avete)

100 grammi di salmone affumicato (potete usare il salmone affumicato in scatola che si trova al super, o anche un pezzo di salmone fresco)

300 grammi di zucchine

400 grammi di formaggio fresco tipo philadelphia

2 uova

1 scalogno o 1 cipolla

sale e pepe

Quando avete tutto INIZIAMO:

Tagliate a tocchetti le zucchine e lo scalogno, mettetele in un pentolino con poca acqua salata (giusto per coprirli) e fate bollire per circa 15 minuti, fino a che le zucchine saranno morbide. Alla fine eliminate l’acqua in eccesso e frullate.

imageFate raffreddare un pò e aggiungete il formaggio, due uova, sale, pepe, e il salmone a pezzetti, e amalgamate bene.

Se usate il salmone fresco vi consiglio di cucinarlo prima un paio di minuti al vapore.

Stendete la pastasfoglia nella teglia, con sotto la carta forno, e bucherellate il fondo.

Versate il vostro impasto nella teglia e, se avete voglia di tagliare delle striscioline fini fini dagli estremi della vostra pastasfoglia, inventatevi dei disegni ornamentali da adagiare sulla vostra torta.

Mettete in forno a 180 gradi per circa 40 minuti, e il gioco è fatto!

Semplice no?!

Sentirete che bontà.

Besos

Barbara

 

 

 

Oggi ve lo dico: i dolcificanti non fa dimagrire, ma fanno ingrassare!

 

Ebbene sì, lo so già da un po’, ma ogni tanto faccio finta di non saperlo, perché usare lo zucchero mi da subito l’idea di ingrassare!!!

Tempo fa sono andata dal Dottor Speciani, alla clinica Eurosalus, per un consulto su intolleranze ed abitudini alimentari.

Vi avevo già parlato di questa visita, e del Dottor Speciani.

Era stato lui a spiegarmi che per vincere gli attacchi di fame serali, che spesso si presentano per colmare dei vuoti, bisognava iniziare la giornata con un’abbondante colazione, iniziando a riempire quei vuoti dalla mattina.

Ma ora torniamo ai dolcificanti

Prima di andare alla visita, la signora che mi aveva fissato l’appuntamento al telefono,  mi aveva anche raccomandato di leggere alcuni articoli sul loro sito.

Fino a quel giorno mi ero illusa che bere bibite light, e dolcificare con i dolcificanti, fosse il primo passo verso il mondo delle magre.

Avevo anche provato a bere il caffè senza zucchero

A detta di molti il caffè senza zuccherò è davvero più buono, ma io proprio non ce la faccio: bevo un caffè al giorno, con il latte (ora di riso, perché ho eliminato tutti i latticini), e quel caffè deve essere dolce, mooooolto dolce!

Da quella visita una domanda mi è sorta spontanea: se nessuno è mai riuscito a dimagrire con i dolcificanti ipocalorici ci sarà un perché!?

Nel corso degli anni numerosi studi hanno confermato che l’uso di bibite light, piuttosto che di cibi trasformati in ipocalorici, ha contribuito alla crescita dell’obesità anziché alla sua diminuzione.

Il problema non è la presenza o meno di zucchero: che si usino zuccheri normali, o dolcificanti, il sapore dolce determina comunque un segnale forte che attiverà, in seguito, una ricerca ulteriore di altro zucchero e di carboidrati, e quindi di cibi ricchi di calorie.

Il famoso “zucchero chiama zucchero”:

Un articolo pubblicato tempo fa sul Time, nella sezione “Health and Family”, spiegava in modo molto preciso questa sequenza di eventi, segnalando l’importanza della dolcificazione in sé come induttore di una ricerca successiva di calorie, preferibilmente ottenibili attraverso sostanze zuccherine.

A questo punto, se proprio non si riesce a farne a meno, tanto vale usare dello zucchero normale, o al massimo dello zucchero non trattato, integro.

E quindi?

E quindi evviva lo zucchero di canna, e la vera dolcezza, quella autentica!

Besos

Barbara

 

 

 

Pasta al “vero” pomodoro

 

Ursula, una delle mie più care amiche, anni fa, ha deciso di trasferirsi ai Caraibi, e non è più tornata.

Vogliamo darle torto?!

E vogliamo parlare di quella sana invidia che mi assale tutte le volte che penso a lei!?

Vabbè, sorvoliamo…

Un paio di sere fa è venuta a cena da me con sua figlia.

Ai Caraibi i pomodori costano come l’oro e allora ho pensato che le due fanciulle avrebbero gradito un bel piatto di pasta al pomodoro, pomodoro vero, e non in bottiglia.

Se devo essere proprio sincera sincera, io avevo sempre usato il pomodoro in bottiglia, o al massimo i pelati, poi quest’estate la mitica Stefania di Barletta (mamma di un compagno di Danny), quella che ogni tanto mi da qualche ricetta (che fa pure rima), mi ha insegnato a fare il vero sugo di pomodoro, e ora non posso più farne a meno!

imageIniziamo come sempre con gli INGREDIENTI:

per 4 persone

due confezioni di pomodorini datterini (che di solito qui al nord sono i più saporiti), o anche di ciliegini se li trovate profumati (è da lì che si capisce se sono saporiti!)

Cacioricotta (io me lo sono portato dalla Puglia, ma si trova abbastanza buono anche nei supermercati)

Pasta a vostro gradimento (io ho usato i tortiglioni di Kamut bianco. Ormai mangio quasi esclusivamente pasta di Kamut integrale perché è più leggera e digeribile, e mi piace di più, ma siccome avevo ospiti ho optato per il kamut bianco, molto simile alla pasta classica)

Olio, cipolla e sale (anche per il sale da un po’ ho cambiato, e ora uso solo sale integro, ossia non trattato, e ho scelto il sale rosa dell’Himalaya, sia fino che grosso.

E’ un sale decisamente più caro del sale classico, ma leggete i suoi benefici e vedrete che correrete a comprarlo subito. La cosa più importante è che riduce la ritenzione idrica. Brutto?!?!

Una volta che avete tutto INIZIAMO:

Fate bollire l’acqua, prendete i vostri pomodorini, li lavate bene e, una volta che l’acqua bolle, e che l’avete salata, fate sbollentare i vostri pomodorini per 5 minuti.

A quel punto scolate i vostri pomodorini (io li levo dall’acqua con la schiumarola così tengo l’acqua per la cottura della pasta).

Una volta scolati i pomodorini li passate, così come sono, nel passaverdura o, se non lo avete, li frullate e poi filtrate il tutto con l’aiuto di un colino, per eliminare buccia e semi.

Mettete il sugo ottenuto in un pentolino e, aggiustandolo di sale, fatelo andare a fuoco basso per circa 15 minuti.

Io ci ho fatto anche un soffritto leggero usando mezza cipolla, e un filo di olio, e frullando il soffritto, col minipimer, prima di versarci sopra il sugo (mio figlio la cipolla la mangia, ma è meglio che non la veda!)

Mentre il vostro sugo va, prendete il cacioricotta e ne grattate un bel po’ (io per 4 ci gratto metà forma di quelle classiche tonde). Un po’ lo metterete direttamente sulla pasta mentre la saltate con il sugo, a fine cottura, e un po’ lo portate a tavola in modo che ogni ospite possa aggiungerne a piacere.

Direi che è tutto!

Buona pappa

Barbara

Rostin nega’a: ricettina!

 

Vivo a Milano dal lontano settembre del 1989

Quest’anno ci sarà sto cavolo di EXPO (“cavolo” mi sembra il temine giusto, visto che si parlerà di cibo no?!)

E quindi mi sembra il momento giusto per imparare a fare un piatto della tradizione meneghina: il mitico “Rostin nega’a”, ossia un bel arrostino annegato nel vino.

Perché diciamocelo, ma in questo Expo ci sarà un po’ di tutto, e verranno a fare i maestrini da tutto il mondo, ma noi in Italia abbiamo poco da imparare, e tanto da insegnare, sul cibo, o no?!?

Pensate a quante regioni ci sono, a quante tradizioni, a quanti piatti vecchi, e a quanta innovazione.

Brasati, lessi, risotti, e ora le spume.

Cibo in foglie e polvere di tartufo.

La pasta fresca, e le lasagne delle nonne.

Ma cosa vogliono venire ad insegnarci e noi eh?!?!?!?!?

In questo momento mi sento molto patriottica, e quindi?!

Qualche problema?!

Se vi do fastidio basta un click, et au revoir!

Andate pure a leggere come si fa il patè de fois gras (poco sano, ma tantooooo bbbbbono)

Se invece, come me, oggi avreste voglia di sventolare la bandiera italiana, cantano “Oh mia bella Madunnina”, allora rimanete connessi con quella che tempera i tacchi, e beccatevi la ricetta facile facile per fare il “Rostin nega’a”

imageIniziamo come sempre dagli INGREDIENTI: se siete in 4 comprate 4 bei nodini di vitello, e se il vostro macellaio è simpatico, chiedetegli di tagliarvi già i nervetti interni, così non vi si arricceranno in fase di cottura.

15/20 grammi di pancetta a dadini (io ho abbondato a 50 grammi, ops)

un rametto di rosmarino

farina

50 grammi di burro (io ne ho messi 30)

1/2 bicchiere di vino bianco secco

Se avete tutto possiamo iniziare

 

E ora le alternative sono 2:

O vi leggete la ricetta originale che vi ho pubblicato qui sotto oppure, siccome vi voglio bene, seguite la traduzione che mi ha gentilmente fatto la mia amica Clara

rostin

OK ok TRADUCO!

Mettete la pancetta a rosolare con il burro e il rametto di rosmarino.

Infarinate i vostri nodini di vitello e li aggiungete alla pancetta e al burro facendoli rosolare bene su entrambe i lati.

A quel punto aggiungete il 1/2 bicchiere di vino, coprite e fate andare a fuoco lento per circa mezz’ora (girando la carne a metà cottura)

Il tempo di cottura può variare a seconda dello spessore dei vostri nodini.

Per sapere il tempo esatto chiedete al vostro macellaio una volta che vi da la carne.

Come contorno io ho scelto una semplice insalata verde, ma ci stanno bene anche delle patate al forno.

Buona pappa, e viva l’Italia!

Bacetti

Barbara

 

Viavì: alla scoperta di aneddoti e sapori sotto uno splendido cielo stellato

 

Questa volta non so davvero da dove cominciare.

Le ultime due serate sono state davvero intense, di profumi, di sapori, di colori e di emozioni.

Forse posso iniziare raccontandovi cos’è Viavì

Il progetto ViaVì, ristorante itinerante, è una produzione di Luzzart – Syncretic Agency APS, Macrohabitat APS e SYNCRETIC, nata all’interno di Terra per la Terra – Syncretic Med Festival, un festival ideato tre anni fa per destagionalizzare il turismo attraverso eventi syncretici, in grado di unire ambiente, arte, enogastronomia, tradizioni e territorio.

Sono arrivata a Cisternino, con mia mamma e mio figlio, pochi giorni fa, e la prima sera, mentre cenavamo nella nostra macelleria preferita, il mio occhio è caduto su quel volantino, e la mia curiosità ha fatto il resto.

La prima sera, per il primo percorso, ho portato con me anche nonna Mao e Danny Boy, mentre la seconda sera ho preferito andare da sola: non volevo perdermi una sola parola, e quindi non volevo distrazioni.

Il caronte che ci ha guidato nei due percorsi, per assaggiare i piatti proposti dai diversi ristoranti di Cisternino, tra aneddoti e curiosità, è stato Nick Difino, un noto food hacker.

Cosa sia un food hacker non l’ho capito bene neanche io, ma credo di aver intuito che si tratti di qualcuno che entra a gamba tesa in tutti i sistemi dove si parli e si tratti di cibo, andando a caccia di pregi e difetti, per poi fare le proprie scelte di vita, magari consigliandole anche al prossimo suo.

Di una cosa però sono sicura: mi spiace aver conosciuto Nick Difino solo ora!

In queste serate ho scoperto delle cose pazzesche, cose che voi umani…

In queste serate ho saputo cose che forse avrei preferito non sapere, e altre che avrei voluto sapere prima, molto prima.

Pensavo di aver assaggiato tutte le focacce in commercio nel mondo, ma la focaccia di Remix, fatta con la farina del Senatore Cappelli, ha un altro sapore, e non ti si gonfia nella panza appena la mandi giù.

Solo quando assaggi certi sapori, e senti La differenza, capisci davvero di cosa si parla quando si parla di prodotti a kilometro zero!

E vogliamo parlare della cialledda di Diavolicchie?

Pane secco, capperi, diavolicchi (una sorta di peperoncini), cipolla rossa, cocomero, olio, sale e origano.

La cialledda è un piatto della tradizione contadina, risalente al secolo scorso, in cui si mangiava quello che si trovava in casa, e il pane raffermo non mancava mai.

“Pa”, in sanscrito, vuol dire “proteggere, nutrire”.

Il pane è femmina, perché è tondo, caldo e nutre, e si fa con il lievito madre.

Il pane avvolge in sė la figura dell’uomo e della donna, diventando il principio dell’universo cibo.

E per ogni piatto Nick Difino, che nasce come dj, sceglieva un pezzo da suonare con il suo “nuovo ipod”.

Il suo nuovo iPod, in realtà, era uno splendido grammofono originale degli anni ’30.

La musica e il cibo sono strettamente collegati, e la musica influisce fisicamente nei sapori che le camminano di fianco.

Pensate alla nascita di un bambino…

Dopo 9 mesi il bimbo arriva nel mondo e, assieme al battito cardiaco della mamma, la prima cosa che gli succede, dopo essere stato prima appoggiato sul ventre materno, è essere attaccato al seno di chi gli ha dato la vita, per nutrirsi del suo latte.

Il battito cardiaco è musica, e il latte è cibo.

Musica e cibo sono fatti per camminare uno al fianco dell’altro, sin dai nostri primi respiri.

Trovo che questo sia emozionante, come trovo che sia stato per me molto forte scoprire che un bambino che non è stato allattato avrà più possibiltà di non avere un ottimo rapporto con il cibo.

Io non sono stata allattata,  non ho mai avuto un bel rapporto con il cibo, e soffro di attacchi di fame.

E a chi dice che bisogna mangiare la carne perché le proteine sono importanti?

Li manderei tutti ad assaggiare la zuppa di cereali e legumi che fanno da Micro: quelle sì che sono proteine bbbbbone!

Ma lo sapete che servono 1500 litri di acqua per fare 100 grammi di carne?,

E che per fare 100 grammi di legumi ne bastano 60?!

So che vi state chiedendo dove finiscano i 1500 litri di acqua che servono per la carne, ma ricordatevi che le mucche bevono tanto, e vanno pure lavate!

Non dico che la carne vada eliminata, ma ieri ho capito che va sicuramente ridotta, e mentre ci pensavo mi gustavo le mitiche pucciette col capocollo del bar 32, OPS!

Sul purè di fave e cicorie di Bari Vecchie ho già detto tanto, ma condividere con dei nuovi amici un piatto che normalmente si condivideva in famiglia, come piatto unico, mi ha emozionata.

Danny era stanco e quindi purtroppo abbiamo saltato l’ultima tappa del primo tour, anche se noi la pasta di mandorle ricoperta di cioccolata fondente, del bar fod, la conosciamo bene da anni…

Il secondo tour, quello di ieri sera, è stato molto più intimo: eravamo in 6 e quando l’intimitá cresce, diminuiscono i freni inibitori, e le parole fluiscono come un buon bicchiere di vino rosso del gentil Natalino.

Come prima tappa siamo andati al centodieci cavalli mozzarella bar, un posticino delizioso che si chiama così perchè all’inizio la gente entrava, comprava le mozzarelle e se le portava velocemente a casa.

Ma quando entri lì diventa difficile scappare.

Ti siedi al banco, ti mangi le loro mitiche frise al pomodoro, e inizi a chiacchierare con Gianni.

Sapete cos’è esattamente la frisa?

La frisa è pane biscottato, ossia cotto due volte (bis cotto) e durante la biscottatura viene essiccata.

E sapete perché le frise hanno il buco? Per poter infilarci lo spago con cui si faceva una corona che veniva poi appesa per essere conservata.

La corona veniva portata nei campi e nelle pagghiare (le pagliare), dove i contadini dormivano.

Assieme alle corone di frise si appendevano anche i pomodori che, assieme all’acqua, servivano per completare il loro pasto.

Le frise, infatti, si bagnavano in acqua di mare, se avevano il mare vicino, o con acqua normale, e poi si mangiavano con sopra i pomodori.

Il pane si faceva una volta alla settimana e lo si usava in diversi modi.

Uno di questi modi era bagnarlo e saltarlo con un pó di olio, per poi mesacolarlo con i fagioli cotti nel brodo vegetale e, per non buttare nulla, con le carote (che tra una delle sue proprietà ha quella di eliminare i gas dei fagiolo), il sedano, la cipolla e l’alloro usati per fare il brodo.

Parola di Mimmo che, nella sua Zia Rosa, ci ha accolti con una fantastica zuppa di fagioli con crostini di pane, e verdure.

Sono rimasta sorpresa nel trovarmi davanti al baccalà in tempura della Bell’Italia: ma come?! Siamo in Puglia e con tutto il pesce fresco che hanno qui, ci servono del pesce essiccato?!

E a quel punto ha preso la parola  il grande Beppe Lorusso che ieri sera era con noi da “spettatore”, e che stasera sarà il caronte del terzo tour al quale, purtroppo, non riuscirò a partecipare.

Giuseppe Lorusso, per chi non lo conoscesse, è un giornalista, scrittore d’enogastronomia, e studioso e ricercatore di storia dell’alimentazione e degli usi e comportamenti di consumo.

Ieri sera, tra le varie cose, ci ha spiegato anche come e perché il baccalà sia utilizzato così tanto anche nei posti di mare dove il pesce fresco non manca: il baccalà è un pesce conservato che costa molto meno del pesce fresco e può essere, appunto, conservato per periodi ben più lunghi.

Per finire in bellezza siamo andati alla cremeria Vignola, per perderci nei sapori delle sue fantastiche torte.

Che dire ancora?

Che ringrazio Luca e Walter per avermi dato l’occasione di unirmi a loro in questi bellissimi percorsi, perché camminando sotto un fantastico cielo stellato, tra una tappa e l’altra, ho conosciuto proprio delle belle persone.

E ringrazio tutti quelli che con i loro ristoranti hanno aderito a questo splendido progetto e ci hanno accolti con tanta gioia, tanta passione e tanta gentilezza.

E, per finire, ma non in ordine di importanza, ringrazio Nicola Difino e Giuseppe Lorusso per tutto quello che mi hanno raccontato ed insegnato in queste due serate così particolari, così intense.

In verità mi avete raccontato anche cose che avrei preferito non sapere, ma prometto che cercherò di metabolizzarle e di prendere al più presto la retta via.

Forse avrei preferito non sapere che la busta delle insalata è trattata internamente con una vernice ritardante che consente all’insalata in busta di restare verde per almeno 3 giorni.

Forse avrei preferito non sapere che nelle sigarette mettono l’ammoniaca per creare dipendenza, e che negli hamburger di Mc Donald…

Vabbè dai, sto zitta che è meglio!

Adesso vado in cucina, lavo un pó di insalata comprata oggi dal contadino e me la gusto pensando a voi.

Domani è un altro giorno, e si vedrá

Non so cosa mangerò quando tornerò a Milano, ma so che, anche senza caronte, nei prossimi giorni andrò a farmi il terzo tour che non riuscirò a fare stasera.

Eh sì, perché questi tre tour, anche mescolandoli tra loro, si potranno fare tutte le sere fino al 6 di gennaio (tranne il 25 il 31 e il 1),  e il costo di ogni tappa sarà di soli 3 euro.

Ecco qui sotto il menù dei tre tour!

Se siete in Puglia credete a me e fatevi un giro a Cisternino, che merita assai.

Besos

Barbara

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Ritorno in Puglia con ricetta: il vero purè di fave e cicoria

Ebbene sì: sono tornata nella mia amata Puglia.

Perchè quando ami qualcuno lo ami sia quando fa caldo, e ci stai sdraiata accanto prendendo il sole, e magari tenendogli la mano, sia quando fuori fa freddo e lo guardi mentre mette la legna nel camino.

Quando ami un posto è lo stesso: io la Puglia la amo anche in inverno.

È così verde la Puglia a dicembre…

Siamo atterrati e siamo stati subito accolti dai suoi colori, e dai suoi profumi.

Impossibile guidare senza abbassare i finestrini, anche quando inizia a calare il sole, e l’aria si fa più fresca.

Il tempo di arrivare a casa, di disfare le valigie, e di fare un minimo di spesa, al volo, e alle otto di sera eravamo già da Vito, al “Bari Vecchie”, la mia macelleria preferita, a Cisternino.

Sono drogata di purè di fave e cicoria, e il loro è stratosferico!

E quando vado al “Bari Vecchie” non mi faccio mancare mai un paio di bombette impanate con il formaggio (trattasi di carne, ovviamente!)

Ieri sera mi sono fatta spiegare bene la ricetta del loro purè di fave.

Lo avevo già fatto più volte con la ricetta che mi aveva dato un’amica, ma non mi era mai venuto neanche lontanamente simile al loro.

Eccovi qui una vera chicca di ricetta!

Come INGREDIENTI servono un sacchetto di fave decorticate che potete trovare in qualsiasi supermercato, patate e cicoria, sale e olio.

Quando avete tutto iniziamo: mettete le fave a mollo per 12 ore, in frigo, poi scolatele, sciacquatele e mettetele in una casseruola con un filo di olio sotto, per ungere bene la base della casseruola.

Formate 2 strati alternati di fave e 2 di patate tagliate a rondelle da 1/2 cm e versateci sopra dell’acqua con la brocca fino a coprire tutto e, a fiamma potente, fate andare senza allontanarvi troppo.

Quando inizierete a vedere della schiuma, con un cucchiaio di legno o plastica (non acciaio), toglietela man mano che viene a galla.

Quando vedrete la schiuma quasi sparita abbassate la fiamma al minimo e mettete il coperchio.

Lasciate andare per un’ora abbondante.

Quando la forchetta affonderà nelle patate vorrá dire che siete arrivati quasi alla fine!

Spolverate di sale, aggiungete olio e frullate.

Per le cicorie è più facile: basta pulirle e bollirle!

Questo piatto nasce come piatto conviviale che veniva servito nella tradizione contadina: il purè di fave veniva messo in mezzo alla tavola come piatto unico, e intorno a lui venivano messi: uva bianca, fornetti fritti (tipo i peperoni lunghi verdi), cipolla in agrodoce, gli “spunzel” (cipollotti freschi Verdi), le “vope” fritte (tipo pesce azzurre) e altre cosucce buonissime.

Che dire ancora?

Che oggi mi sono fatta 6 km di camminata per levarmi qualche senso di colpa, e che ora sono pronta per affrontare la mia seconda serata di sapori pugliesi.

Baci

Barbara

 

Le cotolette scaloppate, all’arancia.

 

Qualche sera fa facevo zapping davanti alla tv, e mi sono fermata a guardare chef per un giorno, o qualcosa del genere.

C’era ospite la mia amica Veronika Logan che, per una sera, si era calata nelle parti di un vero chef, alle prese con la cucina di un vero ristorante.

Veronika aveva un bel po’ di clienti in sala, e una vera giuria, tutti pronti a giudicare i suoi piatti, senza sapere che fosse stata lei a idearli.

Uno di quei piatti mi ha incuriosito, e allora ho provato a rifarlo.

Peccato che non mi fossi scritta la ricetta, e andando a memoria, ho fatto un pasticcio.

Lo chef che assisteva Veronika, mentre lei gli spiegava la sua ricetta delle scaloppe all’arancia, stava svelando la sua ricetta per fare delle ottime cotolette, e io ho fatto un mix delle due.

E quindi, invece di fare delle semplici scaloppine passando la carne solo nella farina, le ho poi passate anche nell’uovo e le ho impanate, facendo delle alquanto buffe  “cotolette scaloppate”.

Ma siccome le mie “cotolette scaloppate” sono piaciute molto sia al marito che al figlio, ho deciso di darvi la ricetta.

ingredienticoloteefotoIniziamo come sempre dagli INGREDIENTI:

fettine di pollo, o di tacchino

pan grattato

farina (io uso quella di riso che è più leggera)

un uovo

burro, olio, sale e pepe

Quando avete tutto INIZIAMO:

Passate le vostre fettine prima nella farina, poi nell’uovo e infine nel pan grattato.

Accendete il fuoco e metteteci sopra una padella con un po’ di olio e un po’ di burro.

Rosolate le vostre fettine, girandole, fino a che saranno un po’ dorate e, all’ultimo, versateci sopra il succo di un arancio spremuto.

Fate andare ancora un po’, a fuoco basso, spolverate con un pò di sale e servite.

Io come contorno ho optato per una semplice insalata mista 

Eccole qui sotto in padella, e sopra impiattate! 

Besos

Barbara

cotolettefoto

Quelle bombe di zucchine, ripiene!

 

Questa ricetta è davvero una bomba!!!

Non solo perché per farla vi serviranno le “zucchine bomba” (come le chiamo io), ma perché il risultato è davvero una bomba.

L’unico problema è trovare le famose “zucchine bomba”, ma di solito una passeggiata al mercato da il suo risultato.

Ultimamente mi vengono parecchio facili le rime, ahahahah!

ingredzucchinefotoIniziamo subito con gli INGREDIENTI:

Per 4 persone 

8 zucchine rotonde ( le zucchine bombaaaaaa)

250 gr di ricotta

200 gr di pancetta a dadini, affumicata

100 gr di parmigiano grattugiato

1 ciuffo di prezzemolo (o del sano prezzemolo surgelato!!!)

1 uovo

20 gr di pan grattato

olio, sale e pepe

Quando avete tutto INIZIAMO:

Tagliate il cappello delle zucchine e le svuotate (io lo ho fatto col cucchiaio), lasciando circa 1 cm di spessore sulle pareti, delle bombe!

Raccogliete la polpa in una terrina e la tritate (col minipimer o simile)

Rosolate  la vostra pancetta ( i dadini) in padella con un filo di olio e, quando si saranno raffreddati, li aggiungete alla polpa delle zucchine tritata.

Accendete il forno a 200 gradi e andate avanti.

Assieme alla polpa e alla pancetta aggiungete l’uovo, la ricotta, il parmigiano e il pan grattato, e per finire prezzemolo, sale e pepe.

Amalgamate bene il tutto e “caricate” le vostre “zucchine bomba”.

Infornate tutto, senza rimettere i cappelli sulle zucchine, e fate cuocere a 200 gradi per 35/40 minuti.

A quel punto fate raffreddare un minimo, assaggiate e poi mandatemi i fiori al solito indirizzo.

Ahahahahahah

Besos

Barbara

 

 

 

 

Ricetta: una super rana pescatrice

Settimana scorsa stavo guardando “Cucine da incubo”.

Io adoooro “Cucine da incubo”!

“Cucine da incubo” è una di quelle trasmissioni che io catalogo come “trasmissione speranza”.

Le “trasmissioni speranza” sono quelle che ti aiutano a credere che anche se sei una cessa (scusate, ma non trovo parla più adatta, e questa mi fa sorridere) puoi sempre diventare una gnocca (idem come prima); quelle che ti aiutano a sperare che anche se in cucina sei una frana, puoi sempre imparare; quelle che ti tranquillizzano perché capisci che anche se hai una paura o un fissa micidiale (tipo quelli che non riescono a buttare mai nulla), forse un giorno ce la farai.

Ci sono giorni in cui mi sento cessa (giuro che è così)

Ci sono giorni in cui devo chiamare mia mamma perché non mi ricordo come si faccia il pollo lesso.

Ci sono giorni in cui gli armadi stanno per scoppiare, ma niente riesco a buttare (ogni tanto una rima ci sta bene dai!): la gonna verde pistacchio potrebbe tornare di moda, e quei jeans taglia 40 forse un giorno potrebbero di nuovo entrarmi, forse…

Come non si fa ad amare chi ti fa sperare che tutto possa succedere? Se ci credi e se lo desideri davvero?

Trovo divino Cannavacciuolo Antonino (so che va prima il nome, ma non mi sarebbe venuta la rima!)

Antonino entra in questi ristoranti alla frutta, ordina un paio di primi, e un paio di secondi, e poi li smonta, li distrugge!

Antonino non le manda a dire!

Antonino buttare via tutto, fa pulire quello che rimane. e poi ricostruisce, dal nulla.

La cosa che mi piace di più è quando elimina i soliti menù con mille portate, e “regala” una decina delle sue ricette.

E’ stato proprio Antonino Cannavacciuolo, durante la puntata di “cucine da incubo”, che ha suggerito la ricetta che sto per darvi.

Una ricetta facilissima e da paura!

Mai provata una ricetta così facile e così buona.

Iniziamo come sempre dagli INGREDIENTI:

INGREDIENTIRANAfoto

 Per 3 persone circa 800 grammi di rana pescatrice (io me la faccio già pulire e sfilettare)

 Una confezione di lardo (meglio se stagionato, oppure usate quello normale, ma aggiungete rosmarino in fase di cottura)

Quando avete tutto INIZIAMO:

Mettete un foglio di carta forno sul vassoio del forno e accedetelo a 180 gradi.

 Tagliate i filetti di rana pescatrice in piccoli “bocconcini”.

 Avvolgete ogni bocconcino in una o due fette di lardo (a seconda della misura del bocconcino)

 Non aggiungete sale, semmai fatelo alla fine, ma secondo me non serve.

Infornate a 180 gradi per 15 max 20 minuti et voilà!

Come contorno suggerisco una semplice insalata mista.

RANAfoto

Besos

Barbara