New York: dove tutto può succedere…

 

E dopo anni di festeggiamenti con gli amici, ballando sul cubo (a volte metaforicamente, e a volte no), quest’anno il mio compleanno l’ho voluto festeggiare a New York, con il mio maritino.

Un lungo week-end da soli, senza figlio, ogni tanto ci sta proprio bene.

Quando si diventa genitori non bisogna dimenticarsi che si è anche una coppia: un po’ di intimità serve a tutti, sopratutto ai figli.

“Partite per New York?! Ma avete visto i telegiornali?! Fa un freddo cane, i fiumi sono ghiacciati e le strade sono piene di neve!”

Porca paletta, e quindi?

E quindi siccome conosco i miei polli, e so che spesso alla gente (anche quella della tv) piace esagerare, ho fatto un paio di telefonate, e sono partita serena.

NYgeloeneve

Chiaramente in valigia non ho messo il costume da bagno, ma dei caldi maglioni; e chiaramente non ho portato nessun tacco 12, ma un bel paio di comodi simil Ugg col pelo, e scarpe da ginnastica.

Siamo arrivati a New York giovedì pomeriggio, abbiamo preso una velocissima metro (dove c’era gente strana appesa a testa in giù), e in 4+4=8 eravamo all’Hotel Hugo, nel bel mezzo delle mie zone preferite: Meatpacking, Soho e Tribeca.

Giusto il tempo di farci una veloce doccia, ed eravamo già in strada, per la nostra prima passeggiata, e il nostro primo hamburger!

Prima di ogni mia partenza faccio un lungo, lunghissimo lavoro di studio e aggiornamento sul posto in cui andrò.

Scrivo e chiamo gli amici più esperti nella mia prossima destinazione, e mi faccio consigliare posti da vedere, ristoranti da provare, e negozietti da non perdere.

Sono dell’idea che il tempo e le occasioni vadano ottimizzati, al massimo.

Avevamo 3 giorni e 3 notti, e non volevo perdermi nulla!

Per me era la terza volta a Ny, e per mio marito la seconda, ma dall’ultima volta erano passati ben 7 anni, e quindi avevamo bisogno di fresche dritte!

La prima sera abbiamo sbranato il nostro primo hamburger alle “Oficina latina”, un posto davvero delizioso, aperto da due italiani,  dove ho bevuto un ottimo mojito.

In hotel avevamo scelto la formula “colazione non inclusa”, perché amo fare colazione in giro, per scoprire nuovi posticini!

“C’è un posticino carino che si chiama “Cafe Gitane” (quello in Mott st, perché ce ne sono due) dove spesso ci fa colazione anche Leonardo di Caprio”

Mio marito è un santo! Mio marito mi conosce, e siccome di solito mi danno sempre ottimi consigli, ormai si è rassegnato, e mi segue, spesso senza opporsi (non sempre!)

Alle 10 eravamo al “Gitane”, Di Caprio non c’era, ma non c’erano neanche i turisti, e io amo i posti senza i turisti!

Mi piace vivere i posti che vivono i local , e mangiare quello che mangiano loro.

E infatti dopo un ottimo cappuccino e brioche, mi sono mangiata anche un fantastico yogurt con frutta e muesli.

Quando sai che dovrai camminare tanto, sai che ti servirà tanto carburatore no?!

E dopo una mattinata a zonzo, nel primo pomeriggio siamo finiti all’Oyster bar del Grand Central terminal (dove arrivano treni e metrò).

Non so voi, ma io non avevo mai mangiato un panino con l’aragosta, fino alla mia ultima volta a NY, sette anni fa, e da qual giorno me lo sono sognato almeno una volta al mese, credo.

Questa volta ci hanno fatto provare anche le ostriche fritte: wow!

Avevamo il pieno di carburante anche per il pomeriggio, e quindi, approfittando di un fantastico sole, ce ne siamo andati in giro per central park, e dintorni.

Un salto e in hotel, e poi via per l’aperitivo nel bar segreto

Tra i vari fogli con i suggerimenti degli amici, avevo tenuto anche qualche ritaglio di giornale che parlava di New York, e tra questi si parlava anche del mitico “Please do not tell”.

Ebbene sì, proprio mitico!

Avreste dovuto vedere la faccia di mio marito, che secondo me non aveva creduto a nulla di ciò che gli avevo raccontato, quando ha tirato su la cornetta

barsegreto

Per entrare al “Please do note tell” devi entrare prima in un tristissimo bar che si chiama “Crift dogs”, al 113 di St.Marks Place, e una volta lì dentro devi entrare in una vecchia cabina telefonica, schiacciare una volta il cicalino, e aspettare che si sposti la parete della cabina telefonica.

Et voilà, ecco apparire un piccolo posticino carino carino, con una ventina di posti a sedere.

E il giorno del mio compleanno cosa ho fatto?

Il giorno del mio compleanno siamo andati a farci un bel giro a Brooklyn, ci siamo goduti un altro giorno di sole all’aperto, e siamo finiti, non per caso, in una macelleria molto simile alle macellerie della nostra amata Cisternino, in Puglia.

Da “Fette sau”, però, non si può prenotare, si mangia seduti a lunghi tavoli, assieme agli altri, e non hanno le bombette!!!

Sabato era pieno, e quindi abbiamo pranzato al bancone del bar, in pole position davanti alle originali spine delle loro ottime birre.

Alle 19 siamo andati in un vecchio hotel abbandonato, a vedere una pièce teatrale molto particolare, che non credo dimenticherò presto…

Ma di quelle 3 ore emozionanti, ed intense, vi parlerò meglio nei prossimi giorni.

Dopo tanta emozione mi era venuta fame, e quindi siamo andati da “Minetta’s tavern”, dove avevamo prenotato un tavolo per due per le 23.

Un’amica mi aveva consigliato questo ristorante perché si mangia molto bene, e perché si può fare “vipwatching”!

Ahah! Io amo mangiare (ma va?!) e sono nata curiosona, impicciona e un po’ pettegola (non troppo)!

E quindi? E quindi alle 23 ci siamo seduti al nostro tavolo, ed ho iniziato a guardarmi in giro.

Brad Pitt non pervenuto, Di Caprio neanche, e George Clooney neppure!

“Forse quelli vivono a Las Vegas” mi sono detta, tra me e me!

“Forse qui ci sono un sacco di attori famosissssssimi che però noi non conosciamo!”, ho detto a mio marito che era tutto concentrato sul suo ottimo piatto!

Vabbè, vorrò dire che mi dedicherò anche io al midollo di mio marito (quello nel suo piatto), che mi sembra più buono del mio patè de foie gras affondato in un strana gelatina di verdure!

ciboMa quando sto per addentare il mio primo boccone di crispy pork (ben più chic di “maiale croccante”), lo vedo, lui!

“Marcello, ma secondo te quello nero col pizzo non è uno famoso?! A me sembra di averlo già visto”

Anche lui ha la stessa mia sensazione, ma non sa il nome.

Fermo restando che non era Denzel Washington (quello, per ovvi motivi, che ormai sapete, lo avrei riconosciuto, ops).

Dovevo scoprire se era qualcuno, e sopratutto, chi!!?

Tiro fuori il cellulare, vado su google e digito “Attore di colore”

Ahahahahaah! Giuro! L’ho fatto!

Ne sono usciti un botto, ma lui non c’era!

E’ bastata una veloce domanda al nostro cameriere, ed ecco scoperto l’arcano: avrei dovuto digitare “cantante di colore”, perché quel signore abbronzato col pizzetto era Mr Common, e la settimana prima aveva “solo” vinto un Oscar, per “Glory”, la colonna sonora di “Selma”, scritta da lui e cantata da lui e dal grande John Legend.

Che demente! Ma come avevo fatto a non riconoscerlo subito?!?!? Forse perché guardando la sua esibizione agli Oscar mi ero commossa talmente tanto che le lacrime mi avevano annebbiato la vista oscurandomi lo schermo? Può essere!

Fatto sta che alla fine della nostra cena io mi sono alzata, sono andata dritta dritta al suo tavolo e lo ho ringraziato per avermi emozionata tanto durante la sua esibizione agli Oscar.

Gli ho fatto i complimenti e gli ho detto che era il mio compleanno, e che avrei taaaanto gradito se mi avesse cantato “Tanti auguri a te!” (ovviamente scherzavo, un po’!)

A quel punto ci siamo messi tutti a ridere, e ci siamo seduti un paio di minuti con loro, giusto il tempo di scoprire che anche lui e il suo amico con cui era a cena (assieme alle rispettive girls) sono due pescioloni come me (lui fa gli anni il 13 marzo e il suo amico il 10)

Che emozione!

Pensavo di averne provate già tante nella mia vita, ma chiacchierare con un Oscar mi mancava!

In effetti un paio di amici che si chiamano Oscar li ho, ma parlare con loro è un’altra cosa (Ahahahahhaha! Come sono scema!)

memorialA New York può davvero capitarti di tutto, anche di andare a visitare il “National September 11 memorial & museum” , e di aver bisogno di uscire, perché ti manca l’aria.

Siamo stati lì dentro più di due ore, ed è stata dura, durissima.

Non sto qui a descrivervi la quantità di foto e di voci che mi hanno disintegrato il cuore, perché sapete che non amo parlare di cose che rattristino, ma è stato davvero difficile stare lì sotto.

Il sorriso, comunque rigato da copiose lacrime, me lo ha ridato un piccolo film di 9 minuti, sulla rinascita di ground zero, e sulla speranza, in un futuro migliore.

Quando siamo usciti da lì nevicava, forte!

Ci siamo avviati velocemente verso la metropolitana, tenendoci per mano, e siamo andati cercare il nostro secondo hamburger della vacanza.

Avevo bisogno di riempire subito quel gran senso di vuoto che si stava facendo largo nel mio stomaco…

Perché ho scritto “cercare” il nostro secondo hamburger? Perché il nostro secondo hamburger ce lo siamo dovuti letteralmente cercare!

IL nostro secondo hamburger ce lo siamo mangiati al “Burger Joint”, dietro la reception dell’hotel Parker Meridien.

“Burger Joint” esiste da ben prima dell’hotel, e la proprietà dell’hotel se lo voleva comprare, ma loro non hanno mai ceduto, e sono rimasti lì, nascosti dietro una tenda di velluto rosso, alla destra della reception dell’hotel.

Entri nell’hotel, ti guardi attorno, e dietro quella tenda rossa vedi quella piccola insegna luminosa, e capisci che ci sei, che l’hai trovato.

Ma devi saperlo che è lì, proprio lì, sennò non lo troverai mai.

Dai giganti lampadari dell’hotel, a quella piccola stanza con le pareti ricoperte di ritagli di giornali e di foto.

Ti metti in coda, compili un foglietto con il tipo di hamburger e la cottura che vuoi, ti siedi dove trovi posto, e aspetti che chiamino il tuo nome.

Siamo usciti da lì che nevicava ancora, sempre più forte.

“Ma il nostri aereo partirà?!”

Ho sperato…

Siamo arrivati all’aeroporto e abbiamo scoperto che il nostro volto delle 21.30 sarebbe partito all’1 di notte!

“Eh no! Io alle 16.30 di domani devo andare a prendere mio figlio a scuola, e devo portarlo a tennis!”

Si vede che sono stata convincente, perché ci hanno spostati sul volo delle 23, sempre dietro a Londra.

E meno male, visto che alla fine il nostro vecchio volo è stato proprio annullato.

“Mi raccomando le valigie signora!”

Ho detto alla gentile signora extra large e abbronzata, che ci aveva gentilmente assistiti al check in.

“Don’t worry Miss”, mi ha risposto!

E infatti noi siamo arrivati a Linate lunedì pomeriggio, ma le nostre due valigie sono ancora a zonzo.

Mi hanno appena chiamato per dirmi che oggi pomeriggio ce ne portano a casa una.

Adesso il problema è che non so se sperare che sia la mia (per ovvi motivi), o quella di mio marito dove avevamo messo tutti i vari regalini comprati per Danny, visto che la mia era piena!!!

Cuore di mamma, un po’ tanto ebete!

Barbara

PS un grazie di cuore alla mitica Caterina Barbini che mi ha dato un botto di dritte, e alla super Vanieta che all’hotel Hugo ci ha coccolati e viziati, compresa la boccia di prosecco che ci ha fatto trovare in camera al ritorno della cena del mio compleanno (la prossima volta meglio di pomeriggio, visto che la sera eravamo già ciucchi! Hihi)

La della nostra camera all'hotel Hugo

 

 

Quando un Oscar ti tocca da vicino…

 

Non sono una di quelle che passa la notte in bianco per vedere gli Oscar, ma l’ho registrato con MySky, prima di crollare, a due minuti dall’inizio della diretta.

Domenica Danny ed io ci siamo sparati 2 ore e mezza di corriera, e 2 ore e mezza di treno, per tornare dalla montagna, e la sera eravamo cotti bolliti, altro che Oscar in diretta!

Ma ieri mattina Danny a scuola ci è andato col papà, e io dal letto sono passata in un balzo sul divano, e ho iniziato la prima parte della visione.

La prima parte è filata abbastanza liscia, ma la seconda parte, che mi sono vista subito dopo pranzo, è stata tosta, tostissima.

Sarebbe bello sapere che le mie lacrime erano cellulite sciolta!

Se qualcuno brevettasse una sostanza che permette di espellere la cellulite tramite le lacrime, io sarei anoressica!

Io se sono felice piango!

Io se sono triste piango!

Io se mi commuovo piango!

imageQuando Graham Moore ha ritirato la statuetta per la miglior sceneggiatura non originale, per “Imitation game”, ha confessato di aver tentato il suicidio, all’età di 16 anni.

Si sentiva diverso.

E dopo questa forte confessione ha lanciato un grande messaggio a tutti quelli che si sentono diversi, dicendo loro di non mollare, perché un giorno anche loro potrebbero finire su quel palco, ed essere felici, come lui.

Tante volte mi sono sentita diversa.

Mi sono sentita diversa quando ero sempre la più alta, la spilungona.

Mi sono sentita diversa quando mi prendevano in giro perché avevo la testa molto grossa in confronto al corpo,  e allora mi chiamano Mercury, come i motori fuoribordo.

Mi sono sentita diversa quando le mie amiche andavano sui pattini e giocavano con le bambole, mentre io non mi separavo mai dal mio skate, e odiavo il rosa.

Mi sento diversa che ora, quando mi ritrovo a tavola con donne che parlano di scarpe e borsette: non mi sono mai interessate certe cose.

Non è mai stato un segreto che mio padre volesse un maschio, e io, forse nel tentativo di non deludere nessuno, ci avevo messo poco a diventare un maschiaccio.

Avevo appena finito di asciugarmi le lacrime che ecco arrivare la busta d’oro con dentro il nome della miglior attrice protagonista.

Una commossa Julienne Moore è salita sul palco, e, dopo i vari ringraziamenti, ha aggiunto che era felice di aver fatto quel film, nella la speranza di riuscire a sensibilizzare il mondo verso i malati di alzheimer, facendoli sentire meno soli.

E patapum: le mie lacrime sono tornate a sgorgare!!!

Ci sono arrivata più volte vicino ad andare a vedere quel film, ma non ho ancora trovato il coraggio.

imageNon potrò mai dimenticare quella telefonata: “Mamma qui a Formentera si sta benissimo! Quasi quasi resto tre giorni in più!”

“Preferirei che tu tornassi! Papá non sta bene, si comporta in modo strano.”

Non mi ricordo neanche che estate fosse, ma sono passati circa 15 anni dall’inizio di quell’incubo.

Una mattina di quell’estate mio papà si è svegliato e, tutto agitato, ha detto a mia mamma che doveva tornare subito a casa, da sua moglie.

Non esistono esami per capire se si tratta di demenza senile o di alzheimer.

Non esistono medicine per guarire i malati di alzheimer, ma solo per calmarli.

Ogni malato è diverso dall’altro, ogni storia è diversa dall’altra…

Sono stati anni lunghi e duri, specialmente per mia mamma, che viveva con lui.

Io vivevo già a Milano da tanti anni, e quando tornavo a Venezia facevo fatica a guardarlo negli occhi: quello non era più mio padre.

A volte, nella vita, per difendersi dal dolore, bisogna fare delle scelte difficili.

Per me mio padre era quell’uomo che anche in estate, non rinunciava mai ai suoi jeans bianchi, lunghi, e alla sua camicia di oxford fatta su misura.

Mai una maglietta a maniche corte, mai un bermuda…

Era un uomo molto elegante mio padre, dentro e fuori.

Chissà se prima di andarsene ha capito che quel bambolotto biondo che gli ho messo due volte sulle ginocchia era un bambino vero, suo nipote.

Non mi sento in colpa nel dire che ho desiderato con tutta me stessa che se ne andasse, e che quando se ne è andato prima ho pianto, ma subito dopo mi sono sentita leggera, molto leggera.

Prima o poi lo troverò il coraggio per andare a vedere quel film, e spero che nel frattempo qualcuno brevetti sta cavolo di sostanza che trasformerà la cellulite in lacrime!

Besos

Barbara